Ricevo e volentieri pubblico Io la recensione del film La Kryptonite nella borsa di Ivan Cotroneo con Valeria Golino, Cristiana Capotondi, Luca Zingaretti, Libero de Rienzo, scritta da Daniela Persico di Incontrollabilmente Io. Lo stile della blogger napoletana è sicuramente differente da quello del sottoscritto, il che conferisce a questa recensione, come alle altre sue pubblicate in passato su questo blog, grande originalità. Trattandosi di una pellicola che celebra Napoli, questa recensione verrà pubblicata anche su www.laboratorionapoletano.com
La kryptonite nella borse è un film delizioso.
Potrei
anche smettere qui, perché parlare di certe cose - anche analizzandole,
anche sottolineandole nei più sottili passaggi, anche cogliendone le
più giuste e profonde sfumature -, alle volte, fa correre il rischio di
banalizzarle.
Perché le "cose" carine, lievi e dolci sono tali perché sono tali; sono tali in quanto semplici.
E da semplici andrebbero prese, senza tanta liturgia.
Ma non resisto, ovviamente. Perché sono io, intanto.
Ma anche perché questo film voglio celebrarlo, perché celebra quello
che ho di più caro al mondo: Napoli e l'idea migliore della
napoletanietà.
Voglio celebrarlo, anche e soprattutto, per fare un piccolo ma
sentitissimo omaggio a quello che, a mio parere, è un genio
misconosciuto alle masse (non all'intellighenzia, fortunatamente): Ivan
Cotroneo.
Ivan Cotroneo è il regista, lo sceneggiatore del film.
Cotroneo è il sorriso, la fragilità, la forza, che si nasconde dietro
ogni protagonista, ma è anche l'autore del libro da cui è stato tratto
questo piccolo, delicato, romanticissimo film, che, come
programaticamente si afferma, è una storia d'amore.
Bisogna però intendersi su cosa s'intenda per amore.
Cotroneo, e tutti i folli savi, lo intende bacchicamente, come
sentimento onnicomprensivo, come moto dell'animo costante, come occhio
sempre aperto che sottolinea e gode della bellezza, ovunque la incontri,
in una persona, in un luogo, in un oggetto, in una situazione.
E così, quello che questo piccolo prezioso film resistituisce allo
spettatore è sì, la storia di un piccolo ed imberbe Ulysses perso nella
napoletanità dei primi anni settanta; sono sì le sue romantiche
peregrinazioni ai bordi del collasso del suo mondo (la crisi del
rapporto dei suoi genitori, la depressione della madre, la perdita
dell'amato cugino che crede di essere Superman, l'incapacità di
affrontare quelli più cattivi, o semplicemente più stupidi, di lui).
Ma, anche e soprattutto, La kryptonite nella borsa regala un amore
pindarico ed onnicomprensivo per Napoli, città emblematica di tanto,
come sempre.
Napoli è, per Ivan Cotroneo che ci è nato sul finire degli anni
sessanta, madre - una sorta di quarta madre -, ispirazione, donna da
corteggiare (meravigliosa dopo una pletora di piccoli deliziosi dettagli
la transvolata notturna sulle suggestive note di Life on Mars,
immarcescibile canzone del Duca Bianco, indubbia dichiarazione d'amore
alla città che pure ha abbondonato in gioventù), consolazione, monito e
perfino estrema censura.
La povertà cui sa costringere alcuni dei suoi figli, infatti, è punizione e compatimento, sembra dirci Cotroneo.
E
così, potrei dire del cast particolarissimo che va da una perfetta
Golino, malinconica e dolente, ad un'ineffabile Anita Caprioli, nel
ruolo di una napoletanissima Madre celeste, rassegnata alle esosità di
noi altri umani, alla sempre brava De Cicco (attrice, anch'essa non
valorizzata come dovrebbe, pur vantando partecipazioni in film autoriali
di alto livello), al misurato e affascinante Gifuni, al dolce "bastardo
incosciente" Zingaretti, che fa della propria inadeugatezza riscatto,
dopo l'uccisione di tre pulcini e grazie ad un'insalata.
E ancora potrei ricordare "i ragazzi del mistero" Capotondi e De Rienzo
bellissimi, divertentissimi, ma l'uno per l'altra, come ogni fratello
dovrebbe essere.
E soprattutto sottolineare la bravura del giovanissimo Nemolato, SuperMan per amore,
Cotroneo
per vocazione (un po' come accade nei film di Allen in cui la parte
idealmente sua è interpretata da altri attori, Nemolato finisce perfino
per somigliare fisicamente ad Ivan Cotroneo).
Efficacissimo nelle sue apparizioni, incredibile nell'imperdibile monologo finale.
Oppure
potrei sottolineare quella che forse, inaspettatamente, è stata la
scena migliore: un uomo, Massimiliano Gallo, che in ppp strettissimo,
parla sulle scale di un palazzo popolare alle soglie di quello che se
non stesse, per l'appunto su delle scale, sarebbe decisamente un vascio,
o meglio ancora la perfetta resa visiva della casa paterna di Filomena
Marturano.
Due stanze (i nostri appartamenti) in cui abitano padri, figli, madri, fratelli in generazioni trasversali, di letti sempre disfatti, in quanto unici mobili.
L'emblema di una napoletanità povera che non è mai povera napoletanità.
O forse che non lo era.
Un uomo che dall'alto di un'evidente differente situazione
socio-culturale-censuale, in quel "vascio" ci entra per prendere e
portare via la donna della vita, quella che cercava l'uomo ricco, ma
che, alla fine, arrossisce e gode solo del suo ricco amore.
E perché, come direbbe, Rosaria, intrappolata più che nel tradimento
patito, nella propria differente sensibilità, non possiamo essere tutti
felici così?
Io sono un'enfatica, lo so, credo nelle cose che amo, pure questo è vero.
Eppure vi prego, e lo faccio con tutto il cuore, di vedere La kryptonite nella borsa, di leggerlo perfino.
Di conoscere, amare, diffondere, l'esitenza di Ivan Cotroneo, regista,
scrittore, traduttore di Kureishi e Cunnigham, autore televisivo di
Serena Dandini e Corrado Guzzanti, autore di testi teatrali.
Di amare e far amare Ivan Cotroneo, napoletano.